Dati allarmanti tra mobbing e disturbi depressivi

 

Si celebra oggi il “Mental Health in the Workplace day”: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato il 10 ottobre la data per far presente alla comunità intera il grave problema della salute mentale al lavoro. Alcune stime indicano a livello mondiale dati allarmanti: oltre il 25% di giornate di lavoro perse per disturbi depressivi per un costo giornaliero sproporzionato, e dal 25 al 50% delle persone rivelano una ridotta produttività lavorativa. «Nel nostro Paese, su stime di circa 10 milioni di persone che nella loro vita sperimentano una forma di depressione, oltre il 50% è correlata all’attività lavorativa» spiega la Professoressa Camilla Callegari, Associato di Psichiatria, dell’Università degli Studi dell’Insubria.

 

«Per le sindromi ansio-depressive di natura reattiva (non endogene), che sono quelle di gran lunga prevalenti, le cause lavorative hanno un ruolo cruciale. Anche da studi da noi pubblicati, lo stress da lavoro è associato a malattie cardiovascolari (infarti in particolare) oltre che mentali. L’incertezza del lavoro, nel nostro Paese, la fa da padrona, e con essa la competitività tra classi generazionali. Ogni agevolazione governativa per l’assunzione di giovani, viene prevalentemente realizzata non con un incremento produttivo e della forza lavoro, ma con una sollecitazione a indurre le dimissioni di personale di maggiore età e anzianità lavorative. Ciò consente l’acquisizione degli incentivi governativi e la riduzione degli oneri. Questa prassi è maggiormente consolidata nel settore privato, soprattutto tra le aziende medio-piccole, come noto largamente diffuse nel nostro Paese. Anche la globalizzazione del mercato ha aumentato la competitività e reso le condizioni di lavoro più stressanti, incrementando domanda, ore di lavoro, turni notturni. La crisi finanziaria ha poi esasperato il tutto» aggiunge il professor Marco Ferrario, Ordinario di Medicina del Lavoro dell’Università degli Studi dell’Insubria.

 

«Nel settore pubblico più recentemente si sta assistendo alla riduzione dell’organico del personale e alla terziarizzazione, spesso senza reali forme di tutela. In un contesto di depauperazione di risorse, se non prevale un’accorta e disinteressata valutazione di ciò che è realmente necessario - e quindi investimenti per il futuro - il risultato è che le misure di prevenzione hanno la peggio sulle misure terapeutiche, il trattamento farmacologico prevale sul rapporto medico paziente, le buone norme comportamentali, in grado di preservare la salute, si riducono a consigli infruttuosi» rincara il professor Ferrario.

 

L’OMS, come altre agenzie internazionali quali ICOH e ILO, ormai da anni ha indicato la necessità di sviluppare e implementare programmi per promuovere la salute mentale in ambito lavorativo, a beneficio dei dipendenti, volte a incrementare la produttività delle imprese e contribuire al benessere della intera comunità.

«È fondamentale che i medici del lavoro e psichiatri in formazione possano avere lezioni teoriche e attività cliniche che li rendano in grado di affrontare queste tematiche si sempre maggiore interesse. Questo permetterà un reinserimento consapevole in azienda dei pazienti contribuendo al contenimento di questa moderna epidemia con importante risvolti sociali» concludono Ferrario e Callegari.

 

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