Nell'ambito di "Odescalchi 2016", l'esercitazione congiunta tra i sistemi di Protezione Civile svizzera e italiana promossa dall'Esercito del Canton Ticino con il coinvolgimento dell'Esercito Italiano in accordo con la Prefettura di Como e il supporto del dipartimento della Protezione Civile nazionale, si è svolta a Como-Muggiò, in Piazza d'Armi, una simulazione in cui è stato utilizzato un ospedale da campo che potrebbe sostituire il presidio Sant'Antonio Abate di Cantù in caso questo venisse, ad esempio, gravemente lesionato da un terremoto.

 

"In pratica, gli addetti ai lavori - spiega Mario Landriscina, Referente sanitario regionale - hanno ipotizzato uno scenario in cui il presidio di via Domea viene dichiarato inagibile e almeno in parte vicariato da una struttura militare gestita da personale appartenente all'ospedale. Si tratta del primo esperimento di vicariamento effettuato in Italia che ha coinvolto nell'esercitazione personale militare e personale civile ospedaliero del presidio canturino con la relativa Unità di Crisi".

 

Del progetto era responsabile locale Patrizia Figini, direttore medico di presidio, coadiuvata da Annamaria Alessi, responsabile infermieristica del Dipartimento di Emergenza, Katia Cavenaghi, responsabile infermieristica di presidio, Francesco Fontana, responsabile del Settore Logistica dell'Asst Lariana, e Alessandra Farina, primario del Pronto Soccorso di Cantù. L'esperimento è stato condotto anche con il supporto degli altri primari della struttura di via Domea e con la consulenza dell'Ufficio Tecnico e dei Sistemi Informativi dell'Asst.

 

All'esercitazione hanno partecipato anche la Direzione Sanitaria dell'ATS dell'Insubria, rappresentanti della Protezione Civile Regionale, dell'AREU 118 e del Servizio Sanitario della Protezione Civile Nazionale.

 

"L'obiettivo - aggiunge Patrizia Figini - era valutare l’idoneità di una struttura ospedaliera campale a vicariare un ospedale per acuti evacuato in quanto inagibile, allo scopo di ripristinare un certo livello di assistenza ospedaliera nell’area colpita dall’evento calamitoso. L'operazione quindi non rientra nell'ambito delle attività sanitarie "urgentiste", bensì in quelle definite di "ripristino" dell'assistenza sanitaria ordinaria".

 

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